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La visione di Mother Cabrini è valsa veramente la pena. Molto più, a mio modesto avviso, dello sceneggiato su Chiara Lubich, andato in onda la domenica precedente, senza programmi concorrenti e pure in prime time: un "santino" piuttosto piatto e zeppo di luoghi comuni politicamente corretti: cristianesimo come opzione esclusiva per i poveri, fascisti cattivi e comunisti buoni, la Chiesa come Inquisizione, la santità della protagonista indistinguibile da un volontariato alla Caritas. Invece Mother Cabrini di Daniela Gurrieri e interpretato da una convincente Cristina Odasso non ha peli ecclesialmente corretti sulla lingua: i nemici della Santa sono i massoni, concetto più volte ribadito nel corso della storia.
Con attori fisicamente somiglianti scorrono sullo schermo san Giovanni B. Scalabrini, il papa Leone XIII e la protagonista, mostrata, sia pure di sfuggita dati i tempi compressi di un film, nel suo lato evangelicamente «astuto come un serpente» (la sua abilità nello stendere contratti era leggendaria; soleva dire: «i nemici di Cristo sono abilissimi nell'amministrazione e nella finanza, noi non dobbiamo essere da meno»), ma anche in quello mistico delle ore passate in preghiera davanti al Tabernacolo. Nel film una scena vede lei acquistare a poco una proprietà deprezzata dalla mancanza d'acqua, e poi l'acqua la si trova, con meraviglia degli operai, scavando nel punto da lei indicato. Felice anche l'idea di lasciare il titolo in inglese nell'edizione italiana: la Santa aveva infatti la cittadinanza americana e, per questo, fu la prima cittadina americana a finire sugli altari. Dichiarata Patrona degli emigranti, con le suore osava andare nei quartieri di New York dove neanche la polizia entrava. Erano i tempi in cui il concetto di «missione» era onnicomprensivo e nessun missionario si poneva il problema se stesse per caso facendo «proselitismo».
Maria Francesca Cabrini da Sant'Angelo Lodigiano (oggi provincia di Lodi) in religione cambiò il suo nome in suor Francesca Saverio (con la «o») in onore del Patrono delle Missioni, san Francesco Saverio. Voleva infatti andare in Cina, ma il vescovo Scalabrini la convinse ad assistere gli emigrati italiani in America, che erano a rischio di perdere la fede cattolica sia per la povertà che per l'ambiente protestante (e massonico). Nel film tutto questo è chiaramente esplicitato. E, di questi tempi, non è poco.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 31-01-2021
LA VITA DI SANTA FRANCESCA SAVERIO CABRINI
La fede incrollabile nei disegni di Dio fu il tratto distintivo di santa Francesca Saverio Cabrini (1850-1917), rinvenibile già nella scelta del nome da religiosa, quando al nome di battesimo aggiunse «Saverio» in onore del grande missionario spagnolo che aveva dato tutto per Cristo, annunciandolo nelle terre più lontane e difficili dell'Oriente. Ultima di 13 figli di una famiglia contadina benestante, era nata a Sant'Angelo Lodigiano, rimanendo presto orfana di entrambi i genitori e divenendo suora dopo il diploma da maestra elementare. Per proseguire la missione del suo santo ispiratore, Francesca voleva partire per la Cina, ma seppe comprendere che la volontà divina su di lei era un'altra. Fu prima il vescovo di Lodi, che ne aveva intuito le doti organizzative e le virtù, a consigliarle di fondare un istituto religioso per assistere i moltissimi italiani emigrati in America. La giovane riuscì a riunire alcune compagne attorno a sé e nel 1880 fondò le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, costituendo case in Lombardia e poi a Roma.
La prospettiva della missione estera si concretizzò grazie a un altro vescovo, il beato Giovanni Battista Scalabrini. Pur declinando la sua proposta di affiancare il ramo maschile della congregazione da lui fondata, accettò la direzione di un asilo e una scuola a New York. Nel frattempo, era stato Leone XIII in persona a sostenere l'opportunità della via dell'America. «L'istituto è ancora giovane - le disse il Santo Padre - ha bisogno di mezzi: andate negli Stati Uniti, ne troverete, e con essi un grande campo di lavoro. La vostra Cina sono gli Stati Uniti, vi sono tanti italiani emigrati che hanno bisogno di assistenza». Partì nel 1889, compiendo la prima di una ventina di traversate oceaniche in un'infaticabile opera al servizio dei bisogni materiali e spirituali dei connazionali all'estero: «Gli italiani qui sono trattati come schiavi... bisognerebbe non sentire amor di patria per non sentirsi ferita», scriveva degli italoamericani, che aiutò a inserirsi nel tessuto statunitense senza rinunciare alla loro identità e risvegliandone la fede cattolica.
Assistita dalle suore e dai benefattori attratti dal suo carisma, tra cui alcuni italiani ricchi che coinvolse nella carità, Francesca si prese cura di ogni gruppo sociale fragile o bisognoso di formazione, dagli orfani agli ammalati, dai giovani agli anziani. Fu così che tutti presero a chiamarla Mother Cabrini. Fondò scuole, orfanotrofi, collegi femminili, case di riposo, asili, ospedali a New York e Chicago, estendendo la sua opera fino alla California, poi in Argentina e poi ancora nelle grandi capitali europee, come Londra, Madrid, Parigi. A chi la lodava per il successo delle sue iniziative, rispondeva sincera: «Tutte queste cose non le ha fatte forse il Signore?». Era in Lui che trovava la forza per superare ogni difficoltà, come emerge limpidamente dai suoi scritti: «Se alcuna cosa mi sembrerà ardua e pesante, raddoppierò la mia confidenza e abbandono nel mio Diletto, cercando di prendere riposo assoluto nel Cuore divino».
La devozione al Sacro Cuore di Gesù e l'amore per l'Eucaristia alimentato dalle lunghe contemplazioni davanti al tabernacolo, con cui cercava di accendere le sue religiose, erano la sorgente della sua operosità. «Se io mi occupassi solo di cose esteriori, per buone e sante che siano, diverrei debole e languente; col rischio di perdermi, qualora mi mancasse il sonno dell'orazione», ammoniva, indicando che il suo servizio a Dio nel prossimo nasceva dall'anima ristorata dalla preghiera contemplativa e da un'intensissima vita interiore, che è l'aspetto più facilmente oscurato quando si parla dei grandi santi capaci di trasformare il mondo come Francesca Cabrini. Per questo Pio XII, che la canonizzò e proclamò «Celeste patrona di tutti gli emigranti», aveva ben ragione a dire che «fra le sue virtù eroiche, eroicissima era in lei la carità di Cristo». È l'intima unione con Nostro Signore la virtù che più di ogni altra ha animato la sua opera, per la quale gli italoamericani la chiamano semplicemente «la nostra santa».
Nel novembre 2010 le è stata intitolata la stazione di Milano Centrale.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 22 dicembre 2020
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