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Mentre davanti ai miei occhi scorrevano le immagini del film che racconta in due ore e sei minuti la passione di Cristo dal Getsemani alla resurrezione, ho subito pensato che quest'opera sarà bersagliata da critiche durissime. Non tanto per le reazioni del mondo ebraico, né per le opposizioni dei non credenti o dei fedeli di altre religioni. Il vero pericolo per Mel Gibson e per il suo film sarà rappresentato (sembra un paradosso) dal mondo cattolico.
Perché c'è una porzione di teologi autorevoli e influenti, d'élite ma tutt'altro che marginali, che non potranno perdonare all'attore-regista australiano di credere così fermamente alla storicità dei Vangeli. Quando i dotti teologi di cui sopra vedranno sullo schermo Pietro che taglia un orecchio a Malco nel tentativo di impedire l'arresto di Gesù, e poi vedranno che Cristo compie un miracolo riattaccando l'orecchio e guarendo completamente lo sconcertato servitore, e quando quegli stessi teologi demitizzanti vedranno la terra tremare dopo la morte di Cristo in croce; beh, la loro sorpresa e il loro sconcerto sarà grande e rumoroso.
Per farsi un'idea basta leggere come in questi giorni una delle agenzie di stampa cattoliche italiane stia trattando il film di Gibson: una pagina intera di giudizi negativi, di critiche dal sapore surreale e un po' fantasioso. Si obietta a Gibson, nell'ordine, di aver dato troppa importanza al Calvario nella vita di Cristo (sic), di aver ridotto la sua resurrezione a un fatto egoistico e privato (ma nel sepolcro non risulta che ci fosse una platea ad assistere all'evento come in un moderno reality show), e ancora, testuale, che Gesù "ha donato la sua vita e nessuno gliel'ha tolta".
Perché tanto accanimento? Dove è finito quel mondo cattolico dialogante e pronto a trovare semi preziosi di fede anche in pellicole che offrono un'immagine caricaturale e negativa della Chiesa e della sua fede? Possibile che Pasolini o Fellini siano sdoganati, e il povero Mel Gibson (che fa del suo meglio per far rivivere a milioni di persone le ore più decisive della storia) sia sommerso di critiche senza appello? Purtroppo, il nostro uomo è vittima di un pregiudizio: poiché frequenta ambienti tradizionalisti, è scattato nei suoi confronti un fuoco di sbarramento a prescindere. La sensazione è che non si giudichi tanto la pellicola, ma il suo autore. Alla base di tutto vi è una concezione teologica che ha messo per anni l'accento sul "messaggio", sulla "parola", sul "libro", quasi che "il Verbo si fosse fatto carta".
Mel Gibson ci strappa, a questa beata tiepidezza intellettualistica e ci costringe a vedere un Dio fatto carne, una carne dilacerata e sanguinante, senza sconti e senza omissioni. È un realismo, una crudezza per intenderci, che ritroviamo in certe pellicole che hanno efficacemente descritto la Shoah, e in quel caso nessuno fra i cattolici gridò allo scandalo.
Fonte: Il Giornale, 6 marzo 2004
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