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"Credo che le storie fantastiche abbiano un loro modo di rispecchiare la verità, diverso dall'allegoria o dalla satira o dal realismo, e per alcuni versi più potente", scrive John Ronald Reuel Tolkien in una lettera del 1956 indirizzata a Michael Straight, recensore del Il Signore degli Anelli (J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere, Bompiani 2001, p.263). In effetti, tutto l'interesse dello scrittore Tolkien sembra come rivolto a un centro attorno al quale ruotano i suoi racconti. Il fascino quasi irresistibile che le sue storie esercitano su milioni di lettori deriva forse dalla bellezza alla quale egli, in qualche modo, si ispira. Quella di Tolkien, però, non è la bellezza degli elfi o della natura, e nemmeno quella della magia fatata e degli incantesimi; non è il fascino della fiaba o del poema mitologico ed eroico o del racconto di viaggio. La verità che raccontano o rispecchiano le storie fantastiche di Tolkien è, in un certo senso, quella della natura umana più profonda: è l'immagine che determina l'essere umano come persona, è la sua somiglianza, in un certo senso, alla verità dell'uomo. Tolkien descrive nei suoi libri, per così dire, la "vita spirituale" dei personaggi, il loro cammino di perfezione o, come dice lui stesso, il loro cammino di santità (lettera del 1956, p.264; anche la lettera del 1954, p.230), in altre parole, la nobilitazione, la santificazione degli umili (p.268). "Questa storia - spiega Tolkien - deve chiarire del tutto un tema ricorrente: il posto che nelle "politiche mondiali" occupano gli atti di volontà imprevisti e imprevedibili, e le buone azioni di chi apparentemente è piccolo, poco eroico e dimenticato invece dai saggi e dai grandi (sia buoni che malvagi)" (lettera del 1951, p.182). Insomma, la rilevanza delle buone azioni di chi è piccolo. Che cosa, infatti, è realmente importante per l'essere umano se non la sua identità, la sua capacità di vivere, di amare, di andare oltre se stesso e di aprirsi alla vita? "Penso che la storia fantastica - scriverà altrove - sia una delle più alte forme di letteratura, e che sia del tutto sbagliato associarla ai bambini" (p.249), proprio perché essa, più fortemente, rispecchia la verità.
UNA SPIRITUALITÀ MOLTO BELLA (CIOÈ CATTOLICA)
Questo cammino dei personaggi di Tolkien si svolge alla luce di una spiritualità che milioni di lettori, anche lontani dal cattolicesimo, hanno riconosciuto come molto bella perché molto aderente alla verità dell'uomo. Essa si presenta a noi in una forma nuova, libera dai pregiudizi che spesso accompagnano, purtroppo, ciò che è dichiaratamente "cattolico". Ma essa è, nei fondamenti, coerente nella dottrina cattolica, come ammette anche lo stesso Tolkien. Non è un caso che, più volte, egli affermi come la storia da lui descritta si ambientata nella Terra di Mezzo (Middenerd) che è la traduzione in inglese arcaico di oikoumene, il mondo abitato dagli uomini, ovvero il nostro mondo (lettera del 1954, p.211). "La-Terra-di-Mezzo - scrive (in una lettera del 1956, p.270) - non è un mondo immaginario (come il paese delle fate) o con mondi invisibili (come il paradiso o l'inferno). Il teatro della mia storia è su questa terra, quella su cui noi ora viviamo, solo il periodo storico è immaginario". Insomma, nei racconti di Tolkien, è di noi che si tratta. "Io pretenderei, se non sapessi che fosse presuntuoso da parte mia, di avere come obbiettivo quello di dimostrare la verità e di incoraggiare i buoni principi morali in questo nostro mondo, attraverso l'antico espediente di esemplificarli attraverso personificazioni diverse, che alla fine tendono a farsi capire" (lettera del 1954, p.220).
IL "FALLIMENTO" DI FRODO
C'è un passo ne Il Signore degli Anelli che mi ha sempre colpito in modo particolare ed è il momento i cui i personaggi, gli hobbit, alla fine della storia, tornano nel loro paese, la Contea, e scoprono che lo stregone malvagio Saruman ha devastato ogni cosa. Infuriati, gli hobbit vogliono ucciderlo, se non fosse per l'intervento di Frodo, il quale ha compiuto un lungo cammino di crescita umana e spirituale, che lo lascia andare via libero. E Saruman, improvvisamente, lo guarda con "uno strano sguardo, misto di meraviglia, di rispetto e di odio", e riconosce quanto è cresciuto questo personaggio capace ora di perdonare e di rispondere al male con il bene (Il Signore degli Anelli, Rusconi 1980, p.1212). È, infatti, per la pietà e la capacità di perdonare le offese che Frodo è riuscito a distruggere l'anello del potere e a salvare la Terra di Mezzo. Non è la logica umana, né la forza del più forte a vincere: è piuttosto la logica del Vangelo che ispira Tolkien profondamente e che anima i suoi personaggi. È questa la "verità" che le sue storie fantastiche cercano di "rispecchiare", quella visione della persona che è, in definitiva, la più aderente e vera dell'essere umano. Anzi, Tolkien non si "ispira" ad essa, non più di quanto un Santo si "ispiri" al Vangelo per vivere la propria vita. Così, ad esempio, Tolkien valuta il "fallimento" di Frodo quando deve distruggere l'anello del potere de nemico: "Frodo in realtà fallisce come "eroe". Eroe così come lo concepiscono le menti più semplici: non arriva fino alla fine; rinuncia, tradisce. Non dico "menti semplici" con disprezzo: esse vedono spesso con chiarezza la pura verità e l'ideale assoluto verso il quale devono dirigersi i nostri sforzi, anche se questo ideale è irraggiungibile. La loro debolezza, tuttavia è duplice.
Non percepiscono la complessità di qualsiasi data situazione nel tempo, in cui un ideale assoluto è calato. Tendono a dimenticare quello strano elemento del mondo che noi chiamiamo pietà o compassione, che è un requisito indispensabile nel giudizio morale (dato che è presente nella natura divina). È tipico di Dio, nel suo aspetto più elevato. Per i giudici finiti, con una conoscenza imperfetta, deve portare all'uso di due diversi metri di moralità. A noi stessi, dobbiamo proporre l'ideale assoluto senza compromessi, dato che noi non conosciamo i limiti della nostra forza naturale (più la grazia), e se non tendiamo all'obiettivo massimo, cadremo senz'altro più in basso del limite che riusciremmo a raggiungere. Per quanto riguarda gli altri, nei casi in cui sappiamo abbastanza per dare un giudizio, dobbiamo applicare un metodo di giudizio mitigato alla compassione... (È frequente questo doppio metro di giudizio nei santi, quando valutano le sofferenze e le tentazioni che stanno patendo e quando invece valutano gli altri)" (lettera del 1963, p.367; anche in: lettera del 1956, p.265; lettera del 1956, p.285; lettera del 1956, p.286).
"SONO UN CRISTIANO CATTOLICO ROMANO"
Frodo, afferma altrove Tolkien, non è un pacifista, ma ha "raggiunto la conclusione che il combattimento fisico ha in realtà meno conseguenze di quello che la maggior parte di uomini (buoni) pensa!", rivelando così, in qualche modo, la grande fede del nostro autore nella preghiera e nell'efficacia della vita contemplativa. Rivolgendosi al figlio Christopher, in una lettera del 1944, lo esorta alla preghiera: "Se già non lo fai, prendi l'abitudine di pregare. Io prego molto..." (p.77). La vita interiore dello scrittore Tolkien pervade, quindi, tutta la sua opera. E, in effetti, in un'altra lettera del 1958, scrive: "Ho intenzionalmente scritto un racconto costruito su certe idee "religiose", ma che non è un'allegoria di queste e non le cita apertamente" (p.320). E ancora, in una lettera successiva: "Sono un cristiano (cosa che può anche essere dedotta dalle mie storie), anzi un cattolico romano" (p.326).
La ricerca di questa radice religiosa di Tolkien non vuole essere una rivendicazione sciocca, né il tentativo di annettere questo scrittore al "mondo" cattolico: no. È più semplicemente la constatazione della fecondità del Vangelo e della vita cristiana e di come esso porta sempre frutti nuovi e impensati. Tolkien era un uomo di fede, animato dalla fede, come emerge dai suoi scritti e soprattutto dalle sue lettere, e questo, tra l'altro, lo ha reso fecondo anche come scrittore. Egli sapeva bene il "prezzo" della fede e della sua Bellezza, della Bellezza della Vita. A cominciare dalle sofferenze vissute per la conversione della madre al cattolicesimo, e poi l'emarginazione vissuta all'università perché professore cattolico.
SEME E GIARDINIERE
Ecco che Tolkien si trasforma in un vero e proprio direttore spirituale per il figlio, mostrando i valori che danno la concretezza alla vita interiore dell'essere umano. Così, nell'ottica della Croce, Tolkien può affermare: "Io sono cristiano, e cattolico romano, e quindi non mi aspetto che la "storia" sia qualcosa di diverso da una "lunga sconfitta", benché contenga alcuni esempi e intuizioni della vittoria finale" (lettera del 1956, p. 289). Allo stesso modo può scrivere, a proposito della natura umana: "Un uomo non è soltanto un seme che si sviluppa secondo uno schema definito, bene o male in base alla sua situazione o ai suoi difetti in quanto esemplare della sua specie; un uomo è allo stesso tempo un seme e per certi versi anche un giardiniere, nel bene o nel male. Io sono colpito da come lo sviluppo del carattere possa essere il prodotto di un'intenzione consapevole, della volontà di modificare tendenze innate nella direzione desiderata; in alcuni casi il cambiamento può essere grande e definitivo", e in questa linea sviluppa anche il carattere dei suoi personaggi (lettera del 1956, p.271).
Nei momenti di difficoltà, esorta anche il figlio Michael alla Comunione frequente: "L'unico rimedio contro il vacillare e l'indebolirsi della fede è la Comunione. Benché sia sempre lo stesso, perfetto e incompleto e inviolato, il Santo Sacramento non agisce completamente e una volta per tutte in ognuno di noi. Come l'atto di fede deve essere ripetuto e così accresce la sua efficacia. La frequenza garantisce il massimo effetto" (p. 381). Indubbiamente, Tolkien padre aveva una profonda e vivace vita interiore! Tanto da desiderare che i figli la potessero, in qualche modo, condividere per il bene che ne sentiva.
L'opera dello scrittore Tolkien non ha però un intento strettamente educativo: essa è nata da un atto gratuito, da un desiderio di bellezza, che tendenzialmente poi vuole essere condiviso. È impressionante come Tolkien ripeta continuamente, nella sua corrispondenza, di aver scritto per se stesso, "per soddisfazione personale, spinto dalla scarsità della letteratura del genere che a me sarebbe piacito leggere" (p. 239); "arrivai alla fine e per gradi a scrivere Il Signore degli Anelli per me stesso" (p. 250); "non è stato scritto per i bambini, né per alcun tipo di persona in particolare, ma per me stesso" (p.349); "va sottolineato che questo procedimento di invenzione era ed è un'impresa personale, intrapresa per mia soddisfazione, per esprimere la mia personale estetica linguistica" (p. 427). Se l'intento di Tolkien non è educativo, scrivere è però anche per lui una missione evangelica, intesa come un "dare da bere agli assetati" (lettera al figlio Christopher del 1944, p. 114), a cominciare da lui stesso.
IL SIGNORE DEGLI ANELLI, OPERA RELIGIOSA E CATTOLICA
E, in effetti, le opere di Tolkien si rivolgono a quella sete particolare e profonda dell'uomo che è la sete della grazia: "Caro Rob [...] mi ha specialmente rallegrato quello che tu hai detto [...]. Penso di sapere esattamente che cosa intendi con dottrina della Grazia; e naturalmente con il tuo riferimento a Nostra Signora, su cui si basa tutta la mia piccola percezione di bellezza sia come maestà sia come semplicità. Il Signore degli Anelli è fondamentalmente un'opera religiosa e cattolica [...]. Questo spiega perché non ho inserito, anzi ho tagliato, praticamente qualsiasi allusione a cose tipo la "religione", oppure culti o pratiche, nel mio mondo immaginario. Perché l'elemento religioso è radicato nella storia e nel simbolismo. Tuttavia detto così suona molto grossolano e più presuntuoso di quanto non sia in realtà. Perché, a dire la verità, io consciamente ho programmato molto poco; e dovrei essere sommamente grato per essere stato allevato (da quando avevo otto anni) in una fede che mi ha nutrito e mi ha insegnato tutto quel poco che so; e questo lo debbo a mia madre, che ha tenuto duro dopo essersi convertita ed è morta giovane, a causa delle ristrettezze e della povertà che dalla conversione erano derivate" (lettera del 1953, pp. 195-196).
Forse potremmo dire che è proprio quella particolarissima e sottile azione della grazia che dona bellezza alle storie di Tolkien: l'intervento, a un certo punto, "dello Scrittore della Storia (e non alludo a me stesso) - commenta Tolkien -, l'unica Persona che è sempre presente che non è mai assente e mai viene nominata" (cfr. pp. 230,235,286,368). Sì, Tolkien ha creato un mondo pervaso da una fede che non proviene da alcuna fonte visibile, come se una luce splendesse ma senza che se ne veda la sorgente, e che permette di guardare la realtà come in trasparenza.
Fonte: Feeria, dicembre 2002
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